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Santi del 4 Agosto

Il mio Santo > I Santi di Agosto

*Sant'Agabio di Verona - Vescovo (4 Agosto)

Sant’Agabio (o Agapito, Agapio) è il nono vescovo di Verona. Nella cronotassi ufficiale della diocesi scaligera figura dopo il patrono della diocesi scaligera, San Zeno o Zenone, e prima di San Lucio o Lucidio. Anche se è citato nel Velo di Classe con il nome Agapitus, il suo nome non compare nel documento liturgico anteriore del secolo XII, detto "Carpsum".
Da queste indicazioni possiamo affermare che il suo culto liturgico non dovrebbe esser anteriore del XII secolo.
Non abbiamo alcuna notizia su di lui e sulla sua vita. Il suo nome si presume sia di origine greca dal verbo "agapao" amare.
Sappiamo che fu sepolto nella chiesa di San Procolo e che il 28 settembre 1806 i suoi resti sono stati traslati nella cripta di San Zeno.
Nel "Catalogus Sanctorum Ecclesiae Veronensis", mons. Franco Segala ne trascrive l’elogium dal Martirologio della chiesa veronese: "Veronae sancti Agabii eiusdem civitatis episcopi (qui pietate erga Deum et morum lenitate maxime praestans, virtutum omnium, fidei in primis ac liberalitatis in pauperes omnibus, post se futuris episcopis exempla reliquit)
Nel martirologio diocesano, era ricordato nel giorno della sua festa il giorno 4 agosto, fino alla riforma del Proprio veronese, del 1961, voluta dal vescovo Carraro, quando venne annoverato nella festa comune di tutti i vescovi veronesi, e la sua festa venne a cessare.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Agabio di Verona, pregate per noi.

*Beato Antonio Arruè Peirò - Martire (4 Agosto)

Schede dei gruppi a cui appartiene:
"Beati 522 Martiri Spagnoli" Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" - Senza Data (Celebrazioni singole)

Calatayud, Saragozza (Spagna), 4 aprile 1908 – Valenza, 4 agosto 1936

Papa Benedetto XVI ha riconosciuto il martirio di questo aspirante orionino in data 20 dicembre 2012.
Anche la Famiglia Orionina diede il suo contributo di sangue durante l’inumana strage di vescovi, sacerdoti, religiosi e suore, uccisi in odio alla Chiesa Cattolica in Spagna, durante la sanguinosa Guerra Civile del 1936-39.
Vittime orionine furono padre Riccardo Gil Barcelón e l’aspirante Antonio Arrué Peiró, ambedue Servi di Dio.
Antonio Arrué Peiró, nacque il 4 aprile 1908 a Calatayud, Saragozza (Spagna) da Antonio Arrué e Aqueda Peiró Caballer, di modeste condizioni economiche ma buoni cristiani; fra i suoi parenti vi fu
un vescovo domenicano nelle Isole Filippine e morto nel 1896.
Frequentò per qualche anno la scuola di Calatayud e dal padre imparò l’arte di intagliatore del legno.
Il 22 agosto 1926 divenne orfano del padre e dopo poco tempo anche della madre e di una sorella maggiore; tutti questi lutti e l’abbandono dei parenti, gli procurarono un periodo di depressione.
A 23 anni, nel 1931, incontrò il sacerdote orionino padre Riccardo Gil Barcelón, che lo accolse nella sua casa di Valenza, dove Antonio per riconoscenza si prestava come custode; inoltre gli serviva la Messa celebrata nella chiesa di Nostra Signora ‘de los Desamparados’ e soccorreva i poveri.
Era un pio giovane, serio, lavoratore, di poche parole, per cui padre Riccardo conoscendo il suo desiderio e ritenendolo idoneo a far parte della Congregazione della “Piccola Opera della Divina Provvidenza”, ne informò don Orione in alcune lettere, lo considerò un ‘postulante’ e prese a dargli lezioni di latino.
Per cinque anni Antonio Arrué perseverò nella vita di pietà e dedizione al prossimo, prodigandosi a soccorrere le schiere di poveri che ricorrevano con fiducia a loro.
Il 3 agosto 1936 stava rincasando, quando si accorse che padre Riccardo Gil era stato arrestato dai miliziani e anarchici e rifiutando l’invito dei vicini che volevano nasconderlo e farlo fuggire, si unì al religioso che tanto l’aveva aiutato.
E quando il 4 agosto spararono al sacerdote, egli si precipitò a sostenerlo, i rivoltosi gli ruppero il cranio con il calcio del fucile, associandolo così nel martirio.
Il processo per la loro beatificazione, iniziò a Valenza nel 1962 e ripreso il 30 novembre 1994 procede velocemente.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio Arruè Peirò, pregate per noi.

*Sant'Aristarco - Discepolo di San Paolo (4 Agosto)

Martirologio Romano: Commemorazione di Sant’Aristarco di Salonicco, che fu discepolo di San Paolo Apostolo, suo fedele compagno di viaggi e compagno di prigionia a Roma.
Giudeo cristiano della diaspora macedone, nativo di Tessalonica (Salonicco). Predicatore itinerante.
Nel 57-58 andò a Gerusalemme portandovi le collette chieste da Paolo per i cristiani della Città Santa.
Poi accompagnò san Paolo a Roma e restò con lui durante i due anni della prima prigionia romana dell'Apostolo.
Forse, dopo la liberazione di San Paolo, nel 62-63 fece ritorno a Tessalonica.
Forse per questo il Martirologio Romano lo dice vescovo di Tessalonica, dove avrebbe molto sofferto per la fede.

(Autore: Paola Cristofari – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Aristarco, pregate per noi.

*Beata Cecilia Cesarini – Vergine Domenicana (4 Agosto)

Roma, 1200 circa - Bologna, 1260
Diana degli Andalò (Bologna, 1200 circa - 10 giugno 1236) e Cecilia Cesarini (Roma, 1200 circa - Bologna, 1260) sono figure insigni di quella fioritura verginale che accompagnò la presenza di san Domenico nella città di Bologna. Diana nelle mani del Patriarca emise i voti di castità, povertà e obbedienza.
Intorno a lei si raccolsero altre religiose, fra cui la beata Cecilia. Nell'epistolario di Diana con il beato Giordano di Sassonia, uno dei primi compagni del Fondatore dell'Ordine dei Predicatori, è documentato il fervore di questa prima comunità nel cuore di Bologna, mentre a Cecilia è attribuita una mirabile descrizione di san Domenico.
Il culto delle due Beate vergini domenicane è stato confermato da Leone XIII.

Martirologio Romano: A Bologna, Beata Cecilia, vergine, che ricevette l’abito monacale da San Domenico, del cui volto e del cui spirito fu testimone fedelissima.
Nella traslazione e ricognizione delle reliquie di Diana d'Andalò, fatta nel 1510 nel monastero bolognese di Sant' Agnese, si trovarono nella medesima tomba tre corpi, due dei quali furono attribuiti rispettivamente a Diana e a Cecilia.
Il terzo, che allora non fu identificato, nella traslazione successiva (1584) fu attribuito a suor Amata, presunta monaca venuta con altre sorelle nel 1224, su invito del Beato Giordano di Sassonia, da S. Sisto a S. Agnese per stabilirvi la vita domenicana.
Tale identificazione, evidentemente fondata su Galvano Fiamma, manca di qualsiasi conferma.
Il culto di Diana, Cecilia e Amata fu approvato il 24 dicembre 1891 da Leone XIII e la loro festa stabilita al 9 giugno.
I corpi delle beate si conservano tuttora nel monastero di S. Agnese di Bologna.

Diamo ora la biografia di Cecilia.
Nacque a Roma nei primi anni del sec. XIII e morì a Bologna verso il 1290. Non siamo certi del suo casato, benché molti la dicano della famiglia Cesarini.
Dopo essere passata con altre religiose da S. Maria in Tempulo nel costituendo monastero di S. Sisto (28 febbraio 1221), verso la fine del 1223 o l'inizio del 1224 fu da Papa Onorio III inviata con altre tre consorelle a Bologna, per informare nello spirito domenicano le suore del monastero di S. Agnese, da poco fondato dalla Beata Diana d'Andalò e dal Beato Giordano di Sassonia. Vi fu eletta priora.
Sul declinare di una vita esemplare, tra i settanta e gli ottanta anni di età, volle edificare le consorelle, ricordando le meraviglie operate da San Domenico a Roma nella contrastata fondazione di San Sisto: i suoi racconti furono raccolti da suor Angelica e portano il titolo di Miracula Beati Dominici, ai quali la Cecilia ha legato il suo nome nella storia e nella agiografia domenicana.
Non deve tuttavia far meraviglia se questi ricordi, a mezzo secolo di distanza dai fatti, non possono costituire una fonte storica assolutamente sicura, quanto a cronologia e a nomi.

(Autore: Luigi Abele Redigonda - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Cecilia Cesarini, pregate per noi.

*Santi Crescenzione e Giustino - Martiri (4 Agosto)

Martirologio Romano: A Roma sulla via Tiburtina, Santi Giustino e Crescenzione, martiri.
Santi Crescenzione e Giustino, Martiri
Sono commemorati nel Martirologio Geronimiano il 4 agosto. Nel Liber Pontificalis si dice che Crescenzione era un lettore e che sarebbe stato ucciso insieme con Lorenzo ed altri chierici romani. Gli itinerari del sec. VII attestano che erano sepolti entrambi in una chiesa della via Tiburtina, non lontana da quella di San Lorenzo.
L'itinerario De locis, invece, pone la loro sepoltura nella basilica di San Lorenzo unendoli con altri sette martiri e con le sante Ciriaca e Sinforosa.
Alle scarne notizie delle più antiche fonti topografiche cercarono di supplire le leggende agiografiche e tali racconti entrarono nel gruppo delle passiones che hanno come eroi i santi Lorenzo, Sisto II e Ippolito.
Nella passio di Lorenzo si racconta che Crescenzione, insieme con Claudio, Severo e Romano, fu ucciso lo stesso giorno di Lorenzo, mentre Giustino, insieme con Ippolito, avrebbe curato la sepoltura di Lorenzo, dopo aver celebrato la Messa.
Nella passio di Sisto II appare un cieco guarito da Lorenzo e Giustino è il solito presbitero che esercita opere di carità in favore di Lorenzo o di altri cristiani (passio di Ippolito).
Esiste anche una passio dedicata al solo Giustino, in cui si narra che egli al tempo di Claudio, poiché aveva curato il seppellimento dei martiri, fu arrestato, tormentato e decapitato il 4 agosto e che il suo corpo fu sepolto in una cripta dell'agro Verano.
Si può ritenere, dunque, che l'esistenza storica dei due martiri sia assolutamente certa, ma che le notizie sulla loro vita e sul martirio siano infondate.

(Autore: Agostino Amore - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Crescenzione e Giustino, pregate per noi.

*Sant’Eleuterio - Martire (4 Agosto)

+ Tarsia, Turchia, 305/310
Eleuterio era senatore e morì a Costantinopoli decapitato per ordine dell'imperatore Massimiano Galerio tra il 305 e il 310. Di lui non si conoscono né i genitori né la patria. Sappiamo che era cubiculario dell'imperatore e da lui benvoluto.
Pur non essendo ancora cristiano, praticava le virtù del cristianesimo e, poiché alla corte gli era impossibile manifestare da sua fede, decise di allontanarsi da essa.
Adducendo motivi di salute si recò in Bitinia dove comprò un podere presso il fiume Sangari (attuale Sakarya in Turchia), costruì una casa e in essa un oratorio sotterraneo. Fattosi battezzare da un presbitero del luogo, Eleuterio viveva il suo cammino di fede.
Il suo allontanamento dalla corte imperiale, però, suscitò i sospetti di Massimiano che, informato da un servo, volle recarsi nella villa del suo cubiculario.
Scoprì l'oratorio e, sicuro ormai che Eleuterio era cristiano, tentò con lusinghe di farlo ritornare al paganesimo ma, vedendo inutile ogni tentativo, lo condannò alla decapitazione. Il corpo di Eleuterio fu sepolto nell'oratorio della sua villa.

Martirologio Romano: A Tarsia in Bitinia, nell’odierna Turchia, Sant’Eleuterio, martire.
Secondo il Martirologio Romano, che lo ricorda il 4 agosto, era senatore e morì a Costantinopoli,
decapitato per ordine dell'imperatore Massimiano Galerio.  
I sinassari greci, invece, lo com­memorano il 25 agosto Eleuterio non era però di Costantinopoli, ma in quella città esisteva una chiesa a lui dedicata, costruita al tempo dell'imperatore Arcadio (395 - 405).
La fonte più antica è un discorso, recitato nel giorno della festa, certamente prima del sec. X, in cui l'autore raccoglie tradizioni orali intorno ad Eleuterio.
Secondo questo scritto non si conoscevano né i genitori né la patria del martire; si sapeva soltanto che era cubiculario dell'imperatore Massimiano e da lui benvoluto.
Pur non essendo ancora cristiano, praticava le virtù del Cristianesimo e poiché alla corte gli era impossibile manifestare da sua fede, decise di allontanarsi da essa.
Adducendo quindi motivi di salute si recò in Bitinia dove comprò un podere presso il fiume Sangari (attuale Sakarya), costruì una casa e in essa un oratorio sotterraneo.
Fattosi poi battezzare da un presbitero del luogo, Eleuterio viveva tranquillo nella pratica della nuova religione.
Il suo allontanamento dalla corte imperiale, però, suscitò i sospetti di Massimiano il quale, informato anche da un servo di Eleuterio, volle recarsi nella villa del suo cubiculario per rendersi edotto delle cose: scoprì l'oratorio e, sicuro ormai che Eleuterio era cristiano, tentò prima con lusinghe di farlo ritornare al paganesimo e alla corte, ma poi, vedendo inutile ogni tentativo, lo condannò alla decapitazione.
Il corpo di Eleuterio fu sepolto nello stesso oratorio della sua villa, dove più tardi, quando ritornò la pace, fu costruita una grande chiesa.
Se le notizie topografiche e cronologiche di questo discorso sono esatte, il martirio di Eleuterio avvenne presso il fiume Sakarya nella regione chiamata Tarsia, a est del lago di Sabandja, non lungi da Nicomedia, tra il 305 ed il 310.

(Autore: Agostino Amore – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant’ Eleuterio, pregate per noi.

*Beato Enrico Giuseppe (Henryk Jozef) Krzysztofik - Sacerdote e Martire (4 Agosto)
Scheda del gruppo a cui appartiene: “Beati Cinque Frati Cappuccini” Martiri Polacchi
Ulteriore scheda: “Beati 108 Martiri Polacchi”

Zachorzew, Polonia, 22 marzo 1908 – Dachau, Germania, 4 agosto 1942
Henryk nacque nel 1908 a Zachorzev in Polonia. Nell 1927 vestì l’abito cappuccino e prese il nome religioso di Enrico. Dopo gli studi, tornò in Polonia, a Lublino, dove fu nominato rettore del seminario. Nel 1939 scoppiò la guerra.
Il 25 gennaio 1940 la Gestapo tedesca arrestò 23 cappuccini del convento di Lublino tra cui fra’ Enrico Krzysztofik. Durante la prigionia Enrico fu premuroso con tutti.
Fece in modo che all’alba fosse celebrata la Messa.
Il 18 giugno 1940 fu tradotto, insieme ai confratelli, al campo di concentramento di Sachsenhausen, poi a Dachau.
Pur essendo di debole salute nella vita del campo non si risparmiò mai: aiutava i più deboli, soprattutto gli anziani.
Nel luglio del 1941 fu consegnato all’ospedale del campo. Di là scrisse un messaggio segreto ai suoi allievi: «Cari fratelli! Sono paurosamente dimagrito perché disidratato. Peso 35 chili. Sono disteso sul letto come sulla croce insieme a Cristo, e mi è grato essere e soffrire con Lui. Prego per voi e offro a Dio queste mie sofferenze per voi».
Morì il 4 agosto 1942. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nel campo di prigionia di Dachau vicino a Monaco di Baviera in Germania, Beato Enrico Krzysztofik, sacerdote e martire, che, deportato in tempo di guerra dalla Polonia in un carcere straniero per essersi professato cristiano, portò a compimento il martirio sotto tortura.
Cosa sono due pagnotte di pane, divise in 25 porzioni, tante quanti sono i propri compagni?
Cosa normale (per non dire insignificante) in tempi normali; eroismo puro se, invece, questo avviene in un campo di concentramento, dove le due pagnotte non servirebbero neppure come antipasto ad uno solo di questi uomini, resi scheletriti dalla fame.
Certamente, un simile eroismo non lo si può improvvisare, ma è proprio di chi ad esso si allena nella normalità degli atti quotidiani, per diventar capace poi, al momento giusto, di offrire anche una testimonianza così significativa.
Ed è per questo che, di Padre Enrico Krzysztofik, i testimoni ricordano con edificazione questo gesto di carità eroica, non come episodio isolato, ma come culmine di un itinerario di amorosa donazione.
Nasce il 22 marzo di 100 anni fa in un villaggio polacco e al battesimo gli viene imposto il nome Giuseppe, che cambia in Enrico entrando tra i Cappuccini. Studia filosofia in Olanda e teologia a Roma, fino all’ordinazione sacerdotale del 1933, ma a Roma si ferma ancora altri due anni per conseguire la licenza in teologia. Torna in Polonia in veste di insegnante, ma diventa anche rettore del seminario nel convento di Lublino.
Qui lo ricordano predicatore appassionato e convinto, impegnato a trasfondere nei suoi ascoltatori un po’ dell’entusiasmo spirituale che gli brucia dentro.
Anche quando scoppia la seconda guerra mondiale, anche quando la Polonia è invasa dai tedeschi e professare apertamente la propria fede equivale a mettere a repentaglio la vita. I primi a doversene andare sono i confratelli olandesi, espulsi dal regime totalitario di Hitler e, tra questi, c’è anche Gesualdo Wilem, che è il padre guardiano del convento di Lublino; così il nostro Padre Enrico si trova, dalla sera alla mattina, a doverne prendere il posto. Posizione delicatissima, la sua, nella duplice veste
di rettore del seminario e guardiano del convento, mentre la persecuzione si fa feroce, gli arresti si susseguono a raffica e sugli edifici religiosi si sfoga tutta la ferocia nazista.
I seminaristi di padre Enrico sono tesi, preoccupati e agitati, costretti a ritardare l’inizio delle lezioni dal preoccupante clima politico che si respira ovunque. Soltanto la sua pazienza e la sua costante serenità riescono a rasserenare gli animi quel tanto che basta per cominciare a studiare ed arrivare con una certa tranquillità al 25 gennaio 1940, giorno in cui la Gestapo fa irruzione nel convento di Lublino e arresta i 23 cappuccini che vi trova.
Nel carcere, strapieno in conseguenza degli arresti di massa, non c’è posto per loro e devono così essere confinati nel castello della città, guardati a vista da carcerieri senza scrupoli.
Enrico è il primo, se non l’unico, tra i confratelli, ad analizzare lucidamente la situazione e a prevedere le violenze psicologiche e le vessazioni cui devono andare incontro.
Per questo invita i suoi frati ad offrire a Dio tutte le sofferenze che li attendono, “fintantoché abbiamo la mente lucida”. Dio solo sa come, in quel clima di oppressione, riesca comunque a garantire alla sua comunità la messa quotidiana, celebrata clandestinamente all’alba. Il 18 giugno 1940 tutti i frati vengono tradotti nel campo di concentramento di Sachsenhausen, nei pressi di Berlino.
Qui Enrico, nelle condizioni disumane in cui vive, incanta tutti per la premurosa delicatezza che dimostra nei confronti, soprattutto, di chi più fatica a sopportare quell' inferno di violenza e di morte.
Qui i testimoni registrano, tra gli altri, l’episodio delle due pagnotte fraternamente divise. Di qui, ricoverato ormai nell’ospedale da campo per la sua estrema debolezza e denutrizione, scrive ai confratelli di essere “paurosamente dimagrito, perché disidratato, peso 35 chili, fanno male tutte le ossa”.
Si sente “disteso sul letto come sulla croce insieme a Cristo” e qui, offrendo le sue sofferenze per tutti i cappuccini, muore il 4 agosto 1942 e il suo corpo viene bruciato nel forno crematorio del campo 12. É stato beatificato da Papa Woityla il 13 giugno 1999.

(Autore: Gianpiero Pettiti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Enrico Giuseppe Krzysztofik, pregate per noi.

*Sant'Eufronio di Tours -  Vescovo (4 Agosto)  

† 572

Martirologio Romano: A Tours in Neustria, in Francia, commemorazione di Sant’Eufronio, vescovo, che partecipò a numerosi concili, restaurò molte chiese in città, fondò parrocchie in tutto il territorio e promosse con cura la devozione alla santa Croce.
Gregorio di Tours loda molto spesso la carità del suo predecessore, Eufronio.
Di una celebre famiglia senatoriale che aveva già dato alla Chiesa dei vescovi, Eufronio fu eletto dal re Clotario per succedere a Guntario (circa 555) e divenne così il diciottesimo vescovo di Tours.
Presiedette il concilio di Tours del 567, dove fu redatta una lettera alla regina Radegonda. Fondatore delle parrocchie di Thuré, Ceré e Orbigny, Eufronio dovette ricostruire la basilica di San Martino e altre chiese distrutte dagli incendi.
Eresse pure una basilica in onore di san Vincenzo. Morì nel 572, dopo diciassette anni di episcopato.
Il culto risale al secolo XI e l’iscrizione al 4 giugno nel Martirologio Romano è ancora più tardiva. Il Proprio di Tours lo festeggia il 2 agosto.

(Autore: Jacques Houssain – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eufronio di Tours, pregate per noi.

*Beati Giovanni della Croce ed Egidio da Siviglia - Mercedari (4 Agosto)
+ 1327
Inviati in redenzione a Granada (Spagna), nel 1324, nel periodo che questo regno moro era in subbuglio per la morte del sultano Ismael, il quale era stato assassinato.
I due mercedari Beati Giovanni della Croce ed Egidio da Siviglia, si prodigarono per soccorrere e consolare i prigionieri che giacevano sotto il peso della catene, riscattandone 267 che poi condussero a Siviglia.
Il Beato Giovanni morì nel 1327 ed il Beato Egidio poco dopo e con santità raggiunsero il paradiso.
L'Ordine li festeggia il 4 agosto.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Giovanni della Croce ed Egidio da Siviglia, pregate per noi.

*San Giovanni Maria Vianney - Sacerdote (4 Agosto)

Dardilly (Lione, Francia), 8 maggio 1786 - Ars-sur-Formans (Ain, Francia), 4 agosto 1859
Giovanni Maria Vianney nacque l'8 maggio 1786 a Dardilly, Lione, in Francia.
Di famiglia contadina e privo della prima formazione, riuscì, nell'agosto 1815, ad essere ordinato sacerdote.
Per farlo sacerdote, ci volle tutta la tenacia dell'abbé Charles
Balley, parroco di Ecully, presso Lione: lo avviò al seminario, lo riaccolse quando venne sospeso dagli studi. Giovanni Maria Vianney, appena prete, tornò a Ecully come vicario dell'abbé Balley.
Alla morte di Balley, fu mandato ad Ars-en-Dombes, un borgo con meno di trecento abitanti.
Giovanni Maria Vianney, noto come il curato d'Ars, si dedicò all'evangelizzazione, attraverso l'esempio della sua bontà e carità.
Ma fu sempre tormentato dal pensiero di non essere degno del suo compito. Trascorreva le giornate dedicandosi a celebrare la Messa e a confessare, senza risparmiarsi.
Morì nel 1859. Papa Pio XI lo proclamerà santo nel 1925. Verrà indicato modello e patrono del clero parrocchiale. (Avvenire)

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: Memoria di San Giovanni Maria Vianney, sacerdote, che per oltre quarant’anni guidò in modo mirabile la parrocchia a lui affidata nel villaggio di Ars vicino a Belley in Francia, con l’assidua predicazione, la preghiera e una vita di penitenza.
Ogni giorno nella catechesi che impartiva a bambini e adulti, nella riconciliazione che amministrava ai penitenti e nelle opere pervase di quell’ardente carità, che egli attingeva dalla santa Eucaristia come da una fonte, avanzò a tal punto da diffondere in ogni dove il suo consiglio e avvicinare saggiamente tanti a Dio.
C’è sempre qualcosa di nuovo da dire su San Giovanni Maria Vianney (1786-1859), che è stato uno dei più grandi Santi del XIX secolo. La sua vita presenta così tante diverse sfaccettature che c’è sempre una nuova lezione che possiamo trarne.
Nei primi decenni del XIX secolo è un seminarista povero. Povero non solo di beni ma d’intelligenza: la sua mente è piccola.
Deve fare uno sforzo straordinario per seguire gli studi in seminario ed è bocciato per due volte all’esame finale.
Le sue deficienze intellettuali preoccupano molto i superiori: lo si deve ordinare sacerdote? Finalmente, a trent’anni ce la fa per un pelo a passare l’esame, ed è ordinato.
Il vescovo manda questo sacerdote poco dotato in un paesino, il villaggio di Ars.
Qui inizia una vita sacerdotale che, contro ogni attesa, illuminerà con la sua luce prima tutta l’Europa, poi tutto il mondo. Pio XI lo canonizzerà nel 1925 e sarà proclamato patrono di tutti i parroci cattolici.
Benché negli anni del seminario non avesse mostrato nessuna delle qualità naturali che caratterizzano un sacerdote eccezionale, diventa un magnifico prete, uno straordinario apostolo, un confessore di raro discernimento e un predicatore di profonda influenza sulle anime.
Che cos’era successo perché quel seminarista un po’ ottuso diventasse un sacerdote così straordinario ed efficiente? Risponde Santa Teresa di Lisieux (1873-1897): “Per l’amore non c’è nulla d’impossibile”. Quello che la santa vuole dire è che chi veramente ama Dio, Nostro Signore e Nostra Signora otterrà sempre i mezzi per compiere l’opera cui la Divina Provvidenza lo chiama.
Questo si applica perfettamente a San Giovanni Maria Vianney. Per esempio, meditiamo sui suoi sermoni. Siamo di fronte a un predicatore straordinario. Si prepara le prediche meglio che può, poi se le studia. Ma quando le espone, parla con tanta convinzione, con tanto ardente amore per Dio, con parole così benedette che la grazia di questi sermoni si comunica e tocca tutti coloro che li ascoltano.
Non ho ancora citato un altro suo difetto: non ha una voce forte, e a quel tempo non ci sono microfoni, il che significa che le folle che si radunano ad Ars per ascoltarlo e riempiono la chiesa e
anche il sagrato spesso non riescono a sentirlo. E tuttavia le cronache riferiscono di conversioni anche fra coloro che sentono qualche frase ma non la predica nella sua interezza. E perfino fra persone che non sentono una parola: basta loro vederlo.
Nella sua opera fondamentale “L’anima di ogni apostolato”, il benedettino dom Jean-Baptiste Chautard (1858-1935) riferisce questo episodio significativo. Un avvocato anticlericale va ad Ars sperando di ridere a spese di “quell’ignorante del parroco”. Ma torna a casa convertito.
Agli amici che gli chiedono: “Ma dunque che cos’hai visto ad Ars?”, risponde: ”Ho visto Dio in un uomo”. Cioè: la presenza di Dio si vedeva in San Giovanni Maria Vianney. Chiunque poteva accorgersi che Dio era con lui, anzi era in lui. Mi sembra che la testimonianza dell’avvocato anticlericale sul curato d’Ars – “Ho visto Dio in un uomo” – sia uno dei più gloriosi omaggi che si possano rendere a una creatura umana.
Le benedizioni che derivano dalle sue prediche e il carisma della sua parola si estendono per ogni dove, e tutta l’Europa comincia a venire pellegrina ad Ars. Questa è una delle ragioni per cui le conversioni di San Giovanni Maria Vianney sono innumerevoli.
È anche un martire del confessionale: ci passa ore e ore confessando e consigliando. Non ci rendiamo conto di quale martirio sia passare lunghe ore a sentire le sciocchezze morali che le persone commettono ogni giorno.
In confessionale, segue il consiglio di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), il quale raccomanda ai confessori di non avere fretta, di essere pazienti, di considerare ogni penitente come se fosse l’unica persona da ascoltare quel giorno e di aiutarlo a vincere i suoi peccati uno per uno.
Così San Giovanni Maria Vianney sfida in battaglia tutti i peccati, insiste sulla pratica delle virtù, consiglia il buon comportamento, e spesso nega le assoluzioni. Sì: se non percepisce una seria volontà di correggersi, nega l’assoluzione al penitente.
Sconsiglia ai suoi parrocchiani la danza. Eppure le danze del suo tempo sono meno immorali e scandalose di certe danze di oggi: le sue parrocchiane ci vanno coperte e con le gonne lunghe.
Chissà che cosa direbbe di certi balli del nostro secolo! Eppure nega l’assoluzione a chi non promette di astenersi da certi balli.
Alcuni gli rispondono che andranno in un’altra chiesa dove non avranno difficoltà a farsi assolvere.
A questi risponde: “Se altri preti vi vogliono aiutare ad andare all’Inferno, che se ne prendano la responsabilità”.
Questo santo straordinario passa tutta la sua giornata in Chiesa: sul pulpito, in confessionale o all’altare.
Si potrebbe pensare che alla sera, tornato a casa, possa almeno godersi il meritato riposo.
Niente affatto: comincia una nuova lotta, questa volta contro il Diavolo.
Per decenni quasi ogni notte combatte il Diavolo – che chiama Grappino – che ogni notte lo assale fisicamente e lo tormenta con rumori assordanti e ingiurie.
Nelle notti precedenti alla confessione di un peccatore particolarmente dominato dal Demonio, quest’ultimo si scatena particolarmente contro il Santo. Una volta dà perfino fuoco al suo materasso.
In risposta, San Giovanni Maria Vianney ricorre sempre di più alla penitenza e alla preghiera per ottenere da Dio le grazie necessarie a convertire i peccatori.
È molto bello meditare su come la Divina Provvidenza, per accrescere ancora il suo apostolato, gli conceda il dono dei miracoli.
In effetti, ne compie molti. Ma si guarda bene dall’attribuirli a se stesso. Costruisce nella sua chiesa un altare dedicato a Santa Filomena vergine e martire (secondo la tradizione 291-304, ma incertezze sui dati storici hanno portato alla sua rimozione dal calendario dei santi), cui attribuisce tutti i suoi miracoli.
Citerò solo un fatto straordinario che rivela il suo dono di leggere nelle anime, quello che tecnicamente si chiama il discernimento degli spiriti.
Questo fatto è riferito da una sua penitente, una giovane che apparteneva alle Figlie di Maria. Va a confessarsi dal Curato d’Ars. Appena s’inginocchia, il Santo comincia a raccontarle la storia della sua vita.
“Ti ricordi di essere andata a ballare il tal giorno?”.
“Sì, me lo ricordo”.
“Ti ricordi che a un certo punto un bel ragazzo è entrato nella sala da ballo? Era elegante, sicuro di sé e ballava con diverse ragazze…”.
“Sì, me lo ricordo”.
“Ti ricordi che avevi una gran voglia di ballare con lui?”.
“Ricordo anche questo”.
“Ti ricordi di com’eri triste perché non ti ha chiesto di ballare?”.
“Sì”.
“Ti ricordi di avere guardato per caso le sue scarpe e di aver visto una strana luce bluastra che sembrava venire dai suoi piedi?”.
“Sì”.
Fino a questo punto gli eventi che descrive alla ragazza vengono dal suo dono soprannaturale del discernimento degli spiriti, perché umanamente non li poteva conoscere. Ma a questo punto fa una stupefacente rivelazione:
“Questo ragazzo in realtà era il Diavolo, che aveva preso forma umana per tentare diverse ragazze presenti. Non ha potuto avvicinarti perché come Figlia di Maria eri protetta dalla Madonna e avevi indosso la Medaglia Miracolosa”.
Questo episodio, così lontano dalla nostra sensibilità, è in realtà ricco di lezioni. Spiega la fama straordinaria che aveva nella regione, in Francia, in Europa e nel mondo intero come confessore capace di leggere nell’anima dei penitenti che andavano da lui a confessarsi.
Ci sono molti altri fatti straordinari che possiamo leggere nelle vite di San Giovanni Maria Vianney, e che c’inducono a chiedergli aiuto perché guarisca il clero cattolico di cui è il patrono dai mali che lo insidiano in questi tempi tristi e decadenti dominati da quello che molti chiamano “spirito del Concilio Vaticano II”. E perché gli dia il discernimento per evitare ogni lassismo e liberalismo nella morale e nei costumi.
(Autore: Plinio Correa de Oliveira - Traduzione: - Massino Introvigne – Fonte: www.cescor.org)
Contro la sua volontà di farsi prete sembra congiurare l’universo intero: la famiglia povera, il padre ostile, la Rivoluzione che scristianizza la Francia; poi Napoleone lo chiama soldato e lui diserta per non dover servire l’uomo che ha imprigionato Papa Pio VII (lo salva il fratello François, arruolandosi al posto suo).
Diventa infine prete a 29 anni nell’agosto 1815, mentre gli inglesi portano Napoleone prigioniero a Sant’Elena.
Ma i suoi studi sono stati un disastro, e non solo per la Rivoluzione: è lui che non ce la fa col latino, non sa argomentare né predicare...
Per farlo sacerdote c’è voluta la tenacia dell’abbé Charles Balley, parroco di Ecully, presso Lione: gli ha fatto scuola in canonica, l’ha avviato al seminario, lo ha riaccolto quando è stato sospeso dagli studi.
Dopo un altro periodo di preparazione, l’ha poi fatto ordinare sacerdote a Grenoble.
E Giovanni Maria Vianney, appena prete, torna a Ecully come vicario dell’abbé Balley, che però muore nel 1817.
Allora lo mandano vicino a Bourg-en-Bresse, ad Ars, un borgo con meno di trecento abitanti, che diventerà parrocchia soltanto nel 1821.
Poca gente, frastornata da 25 anni di sconquassi. E tra questa gente lui, con un suo rigorismo male accetto, con la sua impreparazione, tormentato dal sentirsi incapace. Aria di fallimento, angoscia, voglia di andarsene...
Ma dopo alcuni anni ad Ars viene gente da ogni parte. Quasi dei pellegrinaggi. Vengono per lui, conosciuto in altre parrocchie dove va ad aiutare o a supplire parroci, specie nelle confessioni. Le confessioni: ecco perché vengono.
Questo curato deriso da altri preti, e anche denunciato al vescovo per le “stranezze” e i “disordini”, è costretto a stare in confessionale sempre più a lungo.
E ormai ascolta anche il professionista di città, il funzionario, la gente autorevole, chiamata ad Ars dai suoi straordinari talenti nell’orientare e confortare, attirata dalle ragioni che sa offrire alla speranza, dai mutamenti che il suo parlare tutto minuscolo sa innescare.
E qui potremmo parlare di successo, di rivincita del curato d’Ars, e di una sua trionfale realizzazione. Invece continua a credersi indegno e incapace, tenta due volte la fuga e poi deve tornare ad Ars, perché lo aspettano in chiesa, venuti anche da lontano.
Sempre la messa, sempre le confessioni, fino alla caldissima estate 1859, quando non può più andare nella chiesa piena di gente perché sta morendo. Paga il medico dicendogli di non venire più: ormai le cure sono inutili.
Annunciata la sua morte, "treni e vetture private non bastano più", scrive un testimone. Dopo le esequie il suo corpo rimane ancora esposto in chiesa per dieci giorni e dieci notti.
Papa Pio XI lo proclamerà Santo nel 1925.

(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni Maria Vianney, pregate per noi.

*Beati Giuseppe Batalla Parramon, Giuseppe Rabasa Betanachs ed Egidio Rodicio Rodi - Salesiani, Martiri (4 Agosto)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beati Martiri Spagnoli Salesiani di Valencia”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” - Beatificati nel 200
“Martiri della Guerra di Spagna”
+ Barcellona, Spagna, 4 agosto 1936
Martirologio Romano:
A Barcellona sempre in Spagna, Beati martiri Giuseppe Batalla Parramòn, sacerdote, Giuseppe Rabasa Bentanachs e Egidio Gil Rodicio, religiosi, della Società Salesiana, che nella stessa persecuzione combattendo per la fede ricevettero la vita eterna.
Josè Batalla Parramon - sacerdote
Abella, Spagna, 15 gennaio 1873 - Barcellona, Spagna, 4 agosto 1936
Nacque in Abella (Lérida) il 15 gennaio 1873.
Entrò già adulto nella casa salesiana di Sarrià, dove emise i voti religiosi il 7 dicembre 1894.
Fu ordinato sacerdote nel 1900.
Lavorò sempre in modo discreto, umile e nascosto, ma con grande generosità.
Sia per i ragazzi sia per i salesiani fu un sollecito infermiere.
Con lo scoppiare della guerra, questi furono espulsi dal collegio, ma lui chiese di rimanervi per accudire i feriti.
In seguito espulso, si allontanò con il Sig. José Rabasa e, dopo alcuni giorni passati dormendo per le strade, i due salesiani riuscirono ad avere un passaporto per uscire dal paese, ma furono riconosciuti e poi uccisi in mezzo alla strada.

Josè Rabasa – coadiutore
Noves, Spagna, 26 luglio 1862 - Barcellona, Spagna, 4 agosto 1936
Nato a Noves (Lérida) il 26 luglio 1862.

Entrò come cuoco nella casa di Sarrià (Barcellona), ma poi chiese di farsi salesiano; emise i voti come coadiutore nel 1892.
Finché la salute glielo consentì fu lui a portare avanti i lavori in cucina.
Fu allora mandato a Villena (Alicante), rientrando a Samà più tardi, già anziano.
All'inizio della guerra civile chiese di fermarsi con Don José Batalla per aiutarlo nell'Infermeria, ma dovette fuggire e poi seguì la stessa fine del suo confratello sacerdote.
Aveva 74 anni.

Gil Rodicio Rodicio – coadiutore
Requejo, Spagna, 20 marzo 1888 - Barcellona, Spagna, 4 agosto 1936.
Nacque a Requejo (Orense) il 20 marzo 1888 in una famiglia molto cristiana.
Dalla Galizia arrivò a Sarria (Barcellona) per professare come salesiano coadiutore nel 1908.
Passò per diverse case dell'ispettoria, fermandosi poi a Sarria come Incaricato della panetteria.
Fu un uomo generoso, sacrificato, semplice e gentile.
Quando fu espulso dal Collegio, con l'inizio della guerra civile, si rifugiò presso un ex allievo.
Con una certa Ingenuità mise il proprio indirizzo in una lettera inviata alla sua famiglia; l'informazione arrivò ai miliziani e fu arrestato.
Fu ucciso nel primi giorni di agosto del 1936.

(Fonte: www.sdb.org)
Giaculatoria - Beati Giuseppe Batalla Parramon, Giuseppe Rabasa Betanachs ed Egidio Rodicio Rodi, pregate per noi.

*Beato Gundisalvo (Gonsalvo) Gonzalo Gonzalo – Religioso e Martire  (4 Agosto)

Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Fatebenefratelli” - Senza Data (Celebrazioni singole)
“Martiri della Guerra di Spagna” - Senza Data (Celebrazioni singole)

Conquezuela, Spagna, 24 febbraio 1909 - Madrid, Spagna, 4 agosto 1936
L'Asilo-Ospedale San Raffaele di Madrid, fondato nel 1892 da San Benedetto Menni per i fanciulli storpi e rachitico-scrofolosi, ebbe tre martiri.
Pochi giorni dopo l'insurrezione nazionale, le Guardie d'Assalto fecero irruzione nell'ospedale perché erano persuase che vi fossero nascoste delle armi.
Al peggiorare della situazione il Priore prima fece sospendere la questua, poi, non sapendo come mantenere i 200 ragazzi di cui i Fratelli avevano cura, la fece riprendere.
Il 4 agosto 1936 uscì in cerca di elemosine il B. Fra Ganzalo  Ganzalo, ma non fece più ritorno all'ospedale. Una portinaia lo aveva denunciato ai miliziani i quali non tardarono ad arrestarlo e a fucilarlo sulla piazza che sorge al termine di Via Velàsquez.
Era nato nel 1909 a Conquezela, nella diocesi di Sigùenza.
Fu beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1992.

Martirologio Romano: A Madrid in Spagna, Beato Gonsalvo Gonzalo, religioso dell’Ordine di San Giovanni di Dio e martire, che in tempo di persecuzione contro la fede confermò con il sangue la sua fede in Cristo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Gundisalvo Gonzalo Gonzalo, pregate per noi.

*Beato Guglielmo (William) Horne - Monaco Certosino, Martire (4 Agosto)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati Martiri di Inghilterra, Galles e Scozia” - Beatificati nel 1886-1895-1929-1987 - Senza data (Celebrazioni singole

† Londra, 4 agosto 1540
Emblema:
Palma
Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, Beato Guglielmo Horne, martire, che, monaco nella Certosa della città, sempre fedele all’osservanza della regola, rimase a lungo incarcerato sotto il re Enrico VIII e, consegnato infine al supplizio del patibolo a Tyburn, migrò alla destra di Cristo.
La storia delle persecuzioni anticattoliche in Inghilterra, Scozia, Galles, parte dal 1535 e arriva al 1681; il primo a scatenarla fu come è noto il re Enrico VIII, che provocò lo scisma d’Inghilterra con il distacco della Chiesa Anglicana da Roma.
Artefici più o meno cruenti furono oltre Enrico VIII, i suoi successori Edoardo VI (1547-1553), la terribile Elisabetta I, la ‘regina vergine’ († 1603), Giacomo I Stuart, Carlo I, Oliviero Cromwell, Carlo II Stuart.
Morirono in 150 anni di persecuzioni, migliaia di cattolici inglesi appartenenti ad ogni ramo sociale, testimoniando il loro attaccamento alla fede cattolica e al papa e rifiutando i giuramenti di fedeltà al re, nuovo capo della religione di Stato.
Primi a morire come gloriosi martiri, il 4 maggio e il 15 giugno 1535, furono 19 monaci Certosini, impiccati nel tristemente famoso Tyburn di Londra, l’ultima vittima fu l’arcivescovo di Armagh e
primate d’Irlanda Oliviero Plunkett, giustiziato a Londra l’11 luglio 1681.
L’odio dei vari nemici del cattolicesimo, dai re ai puritani, dagli avventurieri agli spregevoli ecclesiastici eretici e scismatici, ai calvinisti, portò ad inventare efferati sistemi di tortura e sofferenze per i cattolici arrestati.
In particolare per tutti quei sacerdoti e gesuiti, che dalla Francia e da Roma, arrivavano clandestinamente come missionari in Inghilterra per cercare di riconvertire gli scismatici, per lo più essi erano considerati traditori dello Stato, in quanto inglesi rifugiatosi all’estero e preparati in opportuni Seminari per il rientro.
Nel 1874 l’arcivescovo di Westminster inviò a Roma un elenco di 360 nomi con le prove per ognuno di loro.
A partire dal 1886 i martiri a gruppi più o meno numerosi, furono beatificati dai Sommi Pontefici, una quarantina sono stati anche canonizzati nel 1970.
Nella grande persecuzione contro i cattolici, decretata da Enrico VIII re d’Inghilterra, ogni Ordine religioso dell’epoca, unitamente al clero diocesano, lasciò un tributo di sangue e martirio per la difesa della Chiesa Cattolica.
Anche i certosini, per quanto benvoluti essendo monaci non dediti a nessuna attività politica, contribuirono a questo martirio; i monaci della Certosa di Londra ricevettero anch’essi la visita dei funzionari del re che in base al decreto emanato, chiedevano a tutti i maggiorenni, religiosi compresi, l’approvazione del ripudio da parte del re della regina Caterina d’Aragona e quindi l’accettazione come sovrana di Anna Bolena.
Il priore e il procuratore finirono in carcere per aver obiettato sulla legittimità del ripudio, ma dopo un mese, convinti che questo giuramento non toccava la fede, finirono per giurare e quindi liberati; ritornati alla Certosa convinsero gli altri monaci delle loro argomentazioni e così il 25 maggio 1534, essi giurarono ai funzionari che erano tornati accompagnati dai soldati.
La pace così sperata durò poco, perché a fine anno 1534 un nuovo decreto del re e del Parlamento, stabilì che tutti i sudditi dovevano disconoscere l’autorità del papa e riconoscere invece il re come capo della Chiesa anglicana anche nelle cose spirituali e chi non consentiva era reo di lesa maestà.
Avutane notizia, il priore Giovanni Houghton riunì tutti i certosini comunicando ciò e tutti questa volta si dissero pronti a morire per la Chiesa romana.
A seguito di ciò a partire dal 4 maggio 1535 i monaci della Certosa di Londra furono a più riprese arrestati, torturati e processati, singolarmente oppure a gruppetti e di essi 19 furono condannati a morte.
Le sentenze furono eseguite in periodi e data diverse fino al 1540, morirono in forme diverse perlopiù impiccati o di stenti e sofferenze in carcere; il converso William Horne, imprigionato il 28 maggio 1537 sopravvisse alle torture e al fetido carcere di Newgate, che costò la vita ad altri nove monaci reclusi con lui e fu poi impiccato più di tre anni dopo nel Tyburn di Londra il 4 novembre 1540, ultimo dei gloriosi martiri certosini, prime vittime della persecuzione di re Enrico VIII (1491-1547) e del suo vicario Tommaso Cromwell. Il 9 dicembre 1886 i 19 Certosini di Londra furono beatificati da Papa Leone XIII insieme ad altri 35 martiri inglesi. Successivamente i primi martiri del 1535 sono stati canonizzati da Papa Paolo VI il 25 ottobre 1970.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Guglielmo Horne, pregate per noi.

*Santa Ia - Martire in Persia (4 Agosto)
† 5 agosto 362 (?)

Martirologio Romano: In Persia, Santa Ia, martire sotto il re Sabor II.
A proposito dei martiri Eliodoro, Dasàn e compagni abbiamo già avuto occasione di parlare di questo importante gruppo di cristiani (i testi parlano di novemila) del Bet-Zaydé, regione dell’impero romano al confine con quello persiano, che il re Sapore II aveva deciso di deportare in Persia.
Sebbene il testo siriaco degli Atti dei Santi martiri Prigionieri non menzioni il nome di Ia, non c’è ragione di esitare nel collegarla a quella coorte di martiri di Sapore.
Essa ci è nota attraverso l’encomio anonimo greco pubblicato una prima volta negli Acta SS dal Pien, poi in edizione critica da H. Delehaye.
Mettendo a confronto questo testo con gli Atti in siriaco dei santi martiri prigionieri, si nota una sostanziale identità letteraria e sarebbe assai interessante sottoporre il parallelismo dei due testi ad un esame completo per giungere a stabilire la loro esatta parentela, nonché i dati tratti da altre passiones relative alla stessa persecuzione.
Da tale esame, potrebbe infatti risultare che la passio greca di Ia non è se non un rimaneggiamento del testo siriaco, dal quale un redattore bizantino avrebbe preso soprattutto il quadro storico degli avvenimenti per mettere meglio in luce la figura della martire che godeva a Costantinopoli, come si vedrà, di un culto antico ed assai diffuso.
Dal testo della passio risulta che Ia aveva uno zelo ardente nella fede e che il suo ardore missionario aveva trovato efficace aiuto nella profonda conoscenza delle Sacre Scritture.
Quando i prigionieri, nel numero dei quali ella si trovava, giunsero nell’Huzistan, Ia trascorse il suo tempo a confortare nella fede i suoi compagni ed a predicare le verità cristiane alle donne pagane che sapeva accattivarsi con la simpatia e la carità. L’attività di Ia venne a conoscenza dei mariti delle nuove adepte, i quali se ne lagnarono con Sapore, descrivendola come dedita alle pratiche magiche di cui si serviva per allontanare le sue ammiratrici dal culto ufficiale, violando così direttamela le prescrizioni imperiali.
Il caso di Ia fu allora affidato a due maghi, Adarsabur e Adarphar, i quali non potendo toglierla dalla sua fede, la sottoposero ad una prima serie di tormenti e la fecero incarcerare. In capo a due mesi la sottoposero ad un nuovo interrogatorio senza giungere a migliore successo; per cui fu nuovamente torturata più crudelmente ancora e, morente, fu riportata in carcere. Sei mesi dopo subì la terza ed ultima prova. Dopo una serie di torture sempre più dolorose, conclusesi con il supplizio della pressa sotto cui le sue membra furono schiacciate, Ia fu infine decapitata.
Malgrado la proibizione di seppellire il suo corpo alcuni cristiani riuscirono a raccoglierne clandestinamente le spoglie e a collocarle in luogo sicuro. Il racconto termina precisando che il martirio ebbe luogo il 5 agosto.
I sinassari bizantini all’11 settembre, o al 10 e al 25 dello stesso mese, o ancora al 4 o al 5 agosto, commemorano Ia con una notizia che appare in stretta dipendenza con quella della passio riassunta in precedenza.
Oltre al testo della passio, ci è pervenuto anche un secondo documento agiografico greco. Si tratta di un panegirico, composto da Macario, monaco di Manganes (a Costantinopoli) che scriveva durante il regno di Andronico II (1282-1328), successore di Michele Paleologo. Come fa notare H. Delehaye pubblicando quest’opera, Macario «è un retore che dà libero corso più alla mania degli sviluppi attraverso i luoghi comuni, che alle sue facoltà inventive, quella mania propria ad un gran numero di agiografi».
Ciò che in questo discorso riguarda più direttamente Ia non è che un riassunto della passio greca. Il maggior interesse di questa composizione sta, comunque, in alcune notizie sul trasferimento a Costantinopoli, da parte di un imperatore che non è menzionato, delle reliquie di Ia, per le quali lo stesso imperatore fece costruire un santuario, fuori della Porta d’Oro. Questo avvenimento avrebbe avuto luogo in un’epoca piuttosto antica, perché, come riferisce Procopio, Giustiniano dovette far restaurare il tempio di Ia. Questa chiesa fu distrutta al tempo della presa di Costantinopoli da parte dei Crociati nel 1204 ed il corpo della santa fu trasferito nel monastero di Manganes.
Nel suo studio sulle chiese di Costantinopoli, R. Janin menziona, oltre quella della Porta d’Oro, altre due chiese dedicate a Ia nella capitale, una all'heptascalon e l’altra sul Bosforo. Di questi tre luoghi di culto si trova eco nei sinassari.
Oltre che nella Chiesa bizantina, occorre fare menzione di tracce di culto dedicato ad Ia nel Sinassario armeno di Ter Israel al 2 hori (= 11 settembre, una delle date dei sinassari bizantini) in cui Ia appare con il nome di Manousak. Occorre notare che si tratta in questo caso di una traduzione del nome secondo l’etimologia; infatti in greco la significa «violetta», e Manousak in armeno può essere tradotto letteralmente con «viola del pensiero». Si può stabilire una relazione tra il nome della martire e l’odore soave che si diffuse intorno dopo la sua esecuzione? Si può comunque pensare che la stessa lingua greca aveva già interpretato il nome della martire, che ci è sconosciuto nella forma siriaca.
Sebbene Ia manchi nel Sinassario Alessandrino di Michele, vescovo di Atrib e Malig, essa compare tuttavia nella traduzione geez all’11 mascara (= 8 settembre) nella forma Banafzez, nella quale si riconosce facilmente l’arabo Banafsag che vuol dire appunto «violetta».
Nelle due redazioni riassunte, le notizie dei sinassari armeni e geez sono, malgrado tutto, abbastanza chiare per potervi riconoscere la martire persiana.
C. Baronio ha introdotto Ia nel Martirologio Romano semplicemente nella forma greca, per la buona ragione che egli ne ha trovato la memoria a questa data nel sinassario bizantino da lui utilizzato.
Occorre infine ricordare la probabile identità tra Ia e l’Eudocia commemorata in alcuni sinassari bizantini al 4 agosto, come già abbiamo avuto occasione di affermare alla voce indicata.

(Autore: Joseph-Marie Sauget – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Ia, pregate per noi.

*Beato Luis Quintas Duran - Giovane laico e Martire (4 Agosto)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería"
Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Almería, Spagna, 24 aprile 1918 – 4 agosto 1936

Luis Quintas Duran nacque ad Almería, nell’omonima provincia e diocesi, il 24 aprile 1918. Era membro dell’associazione dell’Adorazione Eucaristica notturna.
Morì in odio alla fede cattolica il 4 agosto 1936, nel convento delle Adoratrici di Almería, trasformato in carcere.
Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, nel quale è compreso anche suo fratello José, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Luis Quintas Duran, pregate per noi.

*Sant'Onofrio - Eremita (4 Agosto)
Martirologio Romano: Nei boschi di Panaia vicino a Catanzaro, Sant’Onofrio, eremita, insigne per i digiuni e l’austerità di vita.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Onofrio, pregate per noi.

*San Rainerio (Raniero) di Cagli - Vescovo (4 Agosto)

Martirologio Romano: A Spalato in Dalmazia, nell’odierna Croazia, San Raniero, vescovo e martire, che, già monaco, per difendere i diritti della Chiesa dapprima molto patì nella sede di Cagli e morì poi lapidato in quella di Spalato.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Rainerio di Cagli, pregate per noi.

*Beato Riccardo Gil Barcelon - Sacerdote e Martire (4 Agosto)  
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 522 Martiri Spagnoli" Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" - Senza Data (Celebrazioni singole)

Manzanera, Teruel (Spagna), 27 ottobre 1873 – Valenza, 4 agosto 1936
Papa Benedetto XVI ha riconosciuto il martirio di questo sacerdote orionino spagnolo in data 20 dicembre 2012. E' stato beatificato sotto il pontificato di Papa Francesco il 13 ottobre 2013.
Anche la Famiglia Orionina diede il suo contributo di sangue, durante l’inumana strage di vescovi, sacerdoti, religiosi e suore, uccisi in odio alla Chiesa Cattolica in Spagna, durante la sanguinosa Guerra Civile del 1936-39.
Vittime orionine furono padre Riccardo Gil Barcelón e l’aspirante Antonio Arrué Peiró, ambedue Servi di Dio.
Riccardo Gil Barcelón nacque a Manzanera di Teruel (Spagna) il 27 ottobre 1873, i genitori Francesco Gil e Francesca Barcelón, erano di nobili origini e benestanti; la famiglia era numerosa, tre fratelli e sei sorelle.
In famiglia si conduceva una vita cristianamente esemplare; nella villa di Torrijas, dove la famiglia si era trasferita, esisteva un oratorio dedicato alla Madonna del Carmine e la madre si interessava fattivamente di una trentina di poveri.
Nel 1885, appena dodicenne, Riccardo entrò in Seminario dove fu “alunno diligente e capace”; a venti anni nel 1893 durante la Guerra Ispano-Americana, fu soldato nelle Filippine, qui un voto fatto alla Vergine che l’aveva salvato da un grave pericolo, fu determinante per la scelta della sua vita, votata al sacerdozio.
Compiti gli studi teologici, fu ordinato sacerdote il 24 settembre 1904 dall’arcivescovo di Manila e nominato cappellano della Delegazione Apostolica.
Ma i suoi ideali erano di radicalità evangelica, specie per la carità verso i poveri; pertanto nel 1905 decise di ritornare in Spagna, dove trascorse un periodo presso i Terziari Regolari Cappuccini di Torrentes.
Compì un pellegrinaggio a piedi fino a Roma, dove il 3 febbraio 1910, incontrò il futuro santo don Luigi Orione (1872-1940), fondatore a Tortona (Alessandria) della “Piccola Opera della Divina Provvidenza”; fu un incontro provvidenziale che diede una svolta definitiva alla sua vita spirituale.
Don Orione usò molto tatto con padre Riccardo Gil e per un certo periodo lo trattenne a Roma nella chiesa di S. Anna dei Palafrenieri, poi lo mandò a Tortona a fargli sperimentare la vita della nascente Opera Orionina.
Intuite le sue doti, don Orione ne fece un suo grande collaboratore, affidandogli prima di tutto le zone devastate dal terremoto del 1908 sullo Stretto di Messina, quindi nel 1910 padre Gil fu a
Messina, nel 1910-1912 a Cassano Jonio, nel 1913 a Reggio Calabria e poi per un decennio ancora a Cassano fino al 1923.
Aveva sempre sognato di essere missionario e lo fu invece nel Sud Italia e poi nella sua Spagna, dove nel 1930, d’accordo con il Fondatore, ritornò per introdurvi la Congregazione dei “Figli della Divina Provvidenza”, era la vigilia della sanguinosa Guerra Civile.
Dal 1932 fu residente nella città di Valenza, in una casa poverissima ma sempre aperta per accogliere i più poveri; tenuto d’occhio dai miliziani rossi e anarchici per il suo vivere coraggioso e profondamente cristiano, alla fine fu arrestato improvvisamente il 3 agosto 1936, nonostante le proteste della gente che l’amava.
Il suo giovane collaboratore, l’aspirante orionino Antonio Arrué Peiró, non lo abbandonò e insieme il 4 agosto furono trasportati in località Saler; qui fu loro chiesto di gridare “Viva la F.A.I.” (Federazione Anarchica Iberica) se volevano salvare la vita, ma padre Riccardo Gil Barcelón alzando il crocifisso esclamò “Viva Cristo Re”, il grido dei tanti martiri di quel triste periodo e quindi fu fucilato mentre il giovane postulante ebbe il cranio fracassato con il calcio del fucile, mentre tentava di sorreggerlo.
Il cognato medico, Jesus Montorio Marzo, ne riconobbe il cadavere e scoprì che il religioso portava il cilicio.
Il processo per la loro beatificazione, iniziò a Valenza nel 1962 e ripreso il 30 novembre 1994 procede velocemente.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Riccardo Gil Barcelon, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (4 Agosto)

*Beata Berta - Badessa
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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